• Articolo pubblicato:23 Settembre 2021
  • Categoria dell'articolo:Bar
  • Ultima modifica dell'articolo:30 Giugno 2024

Può una serie comedy cambiarti la vita? Si può se si chiama Scrubs. No, non mi sto riferendo allo scrub che si fa sulla pelle e che credo sia qualcosa per la bellezza, non sono pratico di queste cose, sono brutto e mi piaccio così. Mi sto invece riferendo a una serie che a inizio degli anni 2000 mi ha letteralmente folgorato fin dal primo episodio, facendomi innamorare. Non ci provo neanche a negarlo, ero così affezionato che quando è finita ho pianto fiumi di lacrime!

Per una serie così epica, così importante, è necessario scegliere attentamente il caffè giusto. Visto che è la mia comedy preferita, sceglierò il mio caffè preferito: caffè in ghiaccio con latte di mandorla, miscela arabica, servito in un bicchiere di vetro. Però questa tazzina ancora non mi convince, la voglio più particolare: con l’orlo a forma di stetoscopio! Si, così dovrebbe essere abbastanza strana… è proprio da me!

Mescolo con il cucchiaino per fare in modo che il caffè in ghiaccio si mischi bene con il latte di mandorla; l’odore che sprigiona è pura poesia, dolciastro e caffettoso. Bevo il primo sorso, è fresco e perfettamente bilanciato nella densità e nel gusto, non come quelle merde che spacciano per caffè in ghiaccio con latte di mandorla nei lidi sulle spiagge. Alcuni di voi lo conosceranno come caffè leccese, ma è solo un abbreviativo e si, probabilmente se non siete mai venuti in Salento non l’avete provato. Non sapete che vi state perdendo.

Ma questo non è un articolo sul caffè in ghiaccio con latte di mandorla, è tempo di parlare di Scrubs. Ecco, pensando a questa serie uno direbbe che è una sitcom, ma il problema è che ha pochi elementi della tipica sitcom americana. Dura 20 minuti a puntata, è basato sul comedy, ma ci si ferma qui; non ha quelle fastidiose risate di sottofondo, niente battute scontate o squallide e qui non è la trama che si piega alla battuta, ma il contrario, lasciando alla serie il compito di trattare temi assai poco comici, quasi in un contesto protetto, in cui quello che succede, per quanto sconvolgente o drammatico, lascia comunque un gusto dolceamaro.

Ma non è neanche una serie TV americana tipica. Non c’è una vera e propria trama orizzontale che segue tutta la stagione e gli episodi sembrano disconnessi tra loro, ma non è proprio vero. Quello che succede in un episodio si ripercuote spesso nei successivi e alcune cose vengono riprese anche tra una serie e l’altra. Scrubs è l’ibrido perfetto; non una serie televisiva, ma un vero e proprio stile di vita.

Scrubs dottore interrazziale
Il dottore interrazziale a due teste. Praticamente i ringo in versione medico. Ci mettiamo la cremina in mezzo?

Un cast di risate garantite

Bevo un altro sorso. Ogni papilla gustativa della mia lingua sta danzando in perfetta armonia con le altre, suonando una musica al gusto caffè. Un po’ di caffè sembra rimasto incastrato tra i dettagli dello stetoscopio, ma si va di leccata ed ecco che è tutto risolto. Che poi è anche come si risolvono velocemente le litigate con le ragazze. Leccate, ragazzi. Leccate sempre.

I personaggi di Scrubs sono tutti caratterizzati molto bene, partono da uno stereotipo un po’ grossolano per svilupparsi in sfumature caratteriali molto interessanti. John Dorian, il protagonista, abbreviato in JD dagli amici, è un eterno bambino, un po’ effemminato e sempre molto cazzeggione. Ma quando le cose si fanno serie, lui si mette d’impegno e non molla fino a raggiungere il risultato, spesso imparando lezioni morali e professionali che fanno riflettere anche noi spettatori. 

Ma come lui, questo accade anche per gli altri tre coprotagonisti: Chris Turk, il chirurgo migliore amico di JD con cui forma un duo inseparabile, Elliot Reed, la biondina svampita e un po’ viziata con cui JD finirà più volte a letto e che presto imparerà a cavarsela da sola; e Carla Espinosa, un’infermiera che si innamorerà di Turk e con cui farà coppia fissa.

Tutti e quattro sono per l’appunto i medici ai primi ferri a cui fa riferimento il sottotitolo, proprio perché, ad eccezione di Carla, sono alle prime armi con la medicina pratica e nonostante tutti i titoli di studio sono ancora degli studenti. In questo caso però dell’università della vita (nell’ospedale). Loro potrebbero scrivere su Facebook “laureato all’università della vita”, quella capra ignorante del vostro amico invece no. E se siete voi quell’amico, cancellate subito sta cazzata che non vi rende fighi, ma fa solo cringiare chi la legge.

A contornare i protagonisti c’è uno su tutti: Perry Cox, il mio personaggio preferito della serie, nonché nolente mentore di JD. È un dottore di lunghissima esperienza, acido per via di tutte le tirate bastarde che gli ha appioppato la vita, cinico e completamente antisociale. Odia fondamentalmente tutto, se ne sbatte dell’opinione degli altri e l’unica cosa per la quale ha interesse sono i suoi pazienti. Ma si imparerà ad amarlo in quanto il personaggio si evolve, mettendo a nudo tutta l’insicurezza che lo contraddistingue e rompendo quell’armatura di menefreghismo che si era creato. A dir poco spettacolare!

Ma come lui non sono da meno anche Bob Kelso, lo spietato primario dell’ospedale, anche lui odiatore del mondo e avaro fino all’inverosimile. E questa parte del suo carattere è fondamentale visto che è proprio grazie alla sua accurata spesa interna se la baracca continua a funzionare e può permettere cure di alta qualità.

Menzione d’onore anche per l’inserviente, un uomo senza nome che sembra essere l’unico ad occuparsi della pulizia dell’intera struttura. E poi capisci perché anche lui è un sociopatico che odia/ama il protagonista e dedica gran parte del suo tempo a immaginare scherzi da fare al povero JD.

Scrubs abbraccio JD Turk
Si, è esattamente quello che sembra. Si stanno riabbracciando dopo una lunga seperazione

Point of View: JD

Bevo l’ultimo sorso, ma so che non è ancora finita. Il piacere del caffè in ghiaccio con latte di mandorla finisce col caffè solo per chi va di fretta o per gli inesperti.

Tutti gli episodi di Scrubs hanno qualcosa in comune: il pronome “io”. Spesso sottointeso, tutte le puntate hanno dei titoli che si riferiscono alla prima persona singolare, tipo ad esempio “Il mio primo giorno”, “il mio mostro”, etc… Ciò fa subito capire che la storia è raccontata dal punto di vista di JD e noi la viviamo con lui e soprattutto con le sue fantasie.

Fantasie? In che senso?” direte voi. JD è, come già detto, un po’ infantile e mostra questo suo lato sognando ad occhi aperti e noi, come fossimo nella sua testa, vediamo le sue assurde elucubrazioni come se fossero realtà. Sono piccoli sketch comici di pochi secondi in cui la realtà è piegata all’immaginazione del protagonista. Un vero e proprio tocco d’arte.

Alla regola del pronome “io” nei titoli ci sono però delle eccezioni. Quando il testimone del narratore passa a un altro personaggio, ecco che il titolo diventa “la sua storia” o “la loro storia” e vediamo la vita nell’ospedale del Sacro Cuore dal punto di vista di Cox ad esempio, o di Elliot, o di Turk. O anche di più personaggi contemporaneamente che a turno si passano il testimone della narrazione.

Scrubs - Med School: lo spin-off che non si doveva fare

La nona stagione di Scrubs non esiste. E no, non sto negando che Scrubs: Med School non esista, ma sto negando che sia la nona stagione. È infatti la prima stagione di uno spin-off, nato per cavalcare il successo della serie che, nonostante la sua fine, aveva ancora qualcosa da raccontare.

In realtà la serie non è neanche male se la paragoniamo a una normale sitcom americana, ma il motivo per cui ha floppato clamorosamente è che, rispetto alla serie madre, non ha quelle atmosfere giocose e al contempo serie. Non ci sono le fantasie di JD (che qui è giusto in visita all’ospedale per qualche puntata) e tutta la trama è incentrata su un nuovo gruppo di tirocinanti che sembrano la lontana imitazione di JD e company.

Nell’universo della serie, Med School si pone come sequel, con un Sacro Cuore che è stato ristrutturato e ha cambiato nome, Turk che è primario di Chirurgia e Cox che dirige tutta la baracca. Si sente anche la mancazna di Carla, che qui non appare proprio.

Scrubs cox, jd, turk, todd mutande
Non si riesce a parodizzare un film in mutande, che subito arriva gente!

Attenzione, spoiler sul finale

Lecco il ghiaccio e me lo ciuccio finché non si consuma. Si, del caffè in ghiaccio con latte di mandorla, non si butta certo via il ghiaccio! Si ciuccia anche quello. Comunque sto per parlare del finale dell’ottava stagione. Si, perché quello è il vero e unico finale della serie. Quindi, detto questo stanno per partire gli spoiler: 3… 2… 1… via!

Un finale da pianto. Roba da lacrime potenti con singhiozzi annessi, che lascia un vuoto dentro. E intendo proprio sul finale, quando si è lì, immersi nel monologo di JD e lo si vede attraversare un corridoio con tutte le persone che ha conosciuto nel corso della sua carriera da novellino. E state lì, come idioti a scoprire quanti ne riuscite a riconoscere, mentre di alcuni magari ricordate solo il volto ma non il nome.

Ma prima di parlare del vero e proprio finale, vorrei spendere due parole su tutta l’ultima puntata. Qui Turk cerca il modo di organizzare il perfetto addio per JD, mentre Elliot si è rapidamente trasferita da lui senza che il poveretto se ne rendesse conto. Ma alla fine gli sta bene così. Ama Elliot e sa che sentirà la mancanza di Turk visto che si trasferirà in un nuovo ospedale a un bel pezzo di strada dal Sacro Cuore.

Carla gli dice addio dolcemente, mentre Cox si confesserà solo quando saprà di non avere JD intorno. Peccato per lui che era tutta una messinscena ordita proprio dal protagonista, che voleva avere l’addio del suo mentore.

Anche l’inserviente ha il suo addio, in cui finalmente rivela il suo nome: Glenn Mathius… peccato che l’infermiere che passa subito dopo lo chiama Tommy e si ritorna a immaginarla come una delle tante burle dell’inserviente. In fondo all’interno della serie inventa per sé stesso tanti nomi. Questo è uno dei ruoli più belli in cui Neil Flynn abbia mai recitato!

Ma ora eccoci qua, al monologo finale, interrotto dalla scena del corridoio e che riprende non appena JD, dopo aver passato tutti, si rigira per rendersi conto che non c’è nessuno. E all’uscita dall’ospedale parte un’altra fantasia, l’ultima, in cui il nostro protagonista vede tutto il suo futuro proiettato su un telo bianco. O almeno, il futuro che vorrebbe.

Anni di vita felice con Elliot, suo figlio Sam che cresce e si sposa con Isabella, la figlia di Turk. Nonché giornate piene di amore, baci e abbracci, il tutto sulle note di The Book of Love, una delle canzoni più tristi e melense che esistano. Un finale perfetto, reso ancor più perfetto dalla conclusione del monologo:

E chi dice che non accadrà? Chi può dirmi che le mie fantasie non si avvereranno? Almeno questa volta.

Ora scusate ma vado a lasciare il bicchiere nel lavandino… e no, non sto piangendo a profusione perché per scrivere questo articolo mi sono rivisto l’ultima puntata su Prime, nono. Mi è solo andato un unicorno nell’occhio… ma un attimo che lo tolgo subito.